Chi ha paura della nostra lingua
Publicado em 09/02/2024 14:17
“ Ho un\'avversione a leggere in brasiliano.” Il linguista portoghese Marcos Neves racconta di quando ha letto questa frase, scritta da un suo compatriota in un commento su Facebook, e della sua perplessità nel rendersi conto che l\'autore provava orgoglio per ciò che aveva scritto.
Nel libro “Doze segredos da lingua portuguesa” (“Dodici segreti della lingua portoghese”) , uno dei tanti in cui Neves da anni presenta un notevole lavoro di divulgazione linguistica, il segreto numero 6 è questo: “il portoghese del Brasile non fa male a nessuno”.
“Immaginate soltanto se qualcuno dichiarasse, orgogliosamente, un\'avversione a leggere in inglese, in spagnolo, in francese.... Tutti noi lo troveremmo strano”, osserva Neves. “Allora, anziché sentirci fieri delle nostre limitazioni, che ne dite di provare a superarle?”
Forse quella forma apertamente xenofoba potrebbe scioccare per la crudezza; il sentimento che provoca, però, è molto lontano dall\\\\\\\'essere sorprendente. Trattasi di qualcosa che tutti gli scrittori brasiliani, con libri editi in Portogallo (personalmente ho già tre) si sono già imbattuti in innumerevoli circostanze.
La verità è che il lettore medio portoghese del XXI secolo prova tanto apprezzamento per i testi brasiliani quanto ne prova per una puntura nel sedere. Capire perché le cose vanno in questo modo non è affatto un compito semplice. L\'autore di “Doze segredos” indica un fatto che certamente va considerato: la forte asimmetria nei rapporti tra i due popoli. “Nel bene e nel male”, scrive, “il Brasile è uno dei fari della nostra identità: vuoi per paura, vuoi per attrazione, è molto presente nelle discussioni su che cosa significhi essere portoghese.
Neves aggiunge, inoltre, una riflessione che sembra indiscutibile: non è vero il contrario, poiché il Portogallo, per i brasiliani, è soltanto una “curiosità storica” e, aggiungo io, una destinazione migratoria privilegiata, proprio perché là parlano un idioma cosi simile al nostro. Conclusione dell\'autore: “In breve, ciò che è per noi un fulcro di tensione identitaria, per loro è indifferente. In poche parole non gli fa né caldo né freddo”, anzi, come dicono i brasiliani: “non puzza né profuma”.
Prima che qualcuno si offenda, è importante ribadire che la relativa indifferenza dei brasiliani è ciò che li porta a leggere gli autori portoghesi senza essere prevenuti, godendo delle differenze tra le due varianti della lingua, ogni volta più grandi, come se fossero condimenti rari e, rendendo José Saramago, Valter Hugo Mãe e altri, dei best sellers. Per mettere più legna al fuoco, lo scrittore portoghese Miguel Real ha appena pubblicato, sul “Jornal das Letras”, un articolo in cui sostiene che “la lingua portoghese trova oggi nella narrativa brasiliana il suo ponto omega, la sua forza fictionale. È una letteratura di passione che incanta e stupisce”, mentre la lingua portoghese europea sarebbe “esteticamente avvizzita”. Se Real abbia ragione o meno, soltanto un lungo e franco dibattito intercontinentale potrebbe appurarlo.
Ad ogni modo, è sicuro che il lettore dell\'inizio del nostro testo, con la sua orgogliosa “avversione”, sicuramente vorrà astenersi da questo dibattito. Dal punto di vista dei brasiliani, quello che trovo più interessante in tutta questa confusa discussione, è un crudele dettaglio: i pregiudizi dei portoghesi contro la variante sudamericana della lingua sono molto simili a quelli che alimentiamo contro la nostra stessa immagine allo specchio.
“Talvolta sembra che venga naturale ai portoghesi pensare che il vero portoghese sia il nostro e che i brasiliani parlino una lingua di minore valore, un portoghese falso”, osserva Marcos Neves. Forse si sorprenderebbero nel sapere quanti brasiliani coltivano questa stessa idea distorta.
Traduzione articolo - Folha de São Paulo - 18 gennaio 24